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Media Service: Inchieste in ospedali Consiglio svizzero della stampa; Presa di posizione 10/2012 (http://presserat.ch/_10_2012_i.htm)
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Interlaken (ots)
Tema: Inchieste in ospedali / Sfera privata
Parti: Mc Donald's Schweiz c. «Blick»
Reclamo respinto
Riassunto
Inchieste in ospedali: il Consiglio della stampa precisa
Il codice professionale prescrive, alla Direttiva 7.8., che «per effettuare ricerche all'interno di ospedali o istituti analoghi occorre chiedere il consenso dei responsabili». Il Consiglio della stampa precisa tuttavia che non per ogni conversazione al capezzale di un malato i giornalisti devono chiedere un'autorizzazione alla direzione medica o all'amministrazione. Basta che ne informino i medici curanti o gli infermieri di servizio. Gli stessi pazienti possono decidere liberamente se accettare di parlare a un giornalista.
Alla fine del 2011, il «Blick» aveva riferito su una sparatoria accaduta in un Mc Donald di Bienne. Il servizio comprendeva una descrizione dell'accaduto fatta dal caporeparto, raggiunto da due colpi di pistola, degente in ospedale. Una giornalista si era recata da lui il giorno dopo e l'aveva convinto a raccontare la sua esperienza e a lasciarsi fotografare. «Mc Donald's Schweiz» si è rivolto al Consiglio della stampa, sostenendo che la giornalista non si era presentata come tale all'inizio della conversazione e anzi aveva lungamente insistito perché il ferito, ancora sotto choc, le lasciasse fotografare le ferite riportate. Secondo il reclamante, questo modo di agire viola la sfera privata e la dignità umana della persona. La giornalista del «Blick» sostiene invece di essersi presentata correttamente, e non solo lei ma anche il fotografo che la accompagnava. Il contatto, del resto, si era dovuto interrompere per una visita medica di controllo e pure la moglie del ferito era stata sul posto senza che da nessuno fossero mosse obiezioni contro la presenza dei due reporter.
Il Consiglio della stampa ha respinto il reclamo. Indubbiamente, secondo le circostanze, visitare un ferito il giorno dopo una sparatoria per porgli delle domande potrebbe configurare una violazione della sua privacy. Nel caso specifico, però, non consta che il paziente si trovasse in stato di choc. Si può anzi ritenere che si sia prestato volentieri al colloquio, tanto che non risulta abbia richiesto l'intervento di qualcuno azionando il campanello, oppure che abbia detto ai medici o ai suoi parenti che non voleva parlare ai giornalisti, voleva insomma essere lasciato in pace. Si può parlare in questo caso di un consenso tacito. Infine non risulta che la giornalista del «Blick» abbia approfittato di una persona indebolita dallo stato di choc e abbia pertanto violato la sua dignità come persona.
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