Schweizer Presserat - Conseil suisse de la presse - Consiglio svizzero della stampa
Fatti fondati e verificati (Presa di posizione 66/2019)
Un document
Bern (ots)
Parti: «24 heures» c. «Edito»
Tema: Ricerca della verità / Diritto di essere ascoltati in caso di addebiti gravi
Reclamo accolto sui punti essenziali
Riassunto
Che cosa si intende per «ricerca della verità», come scritto nel primissimo articolo della Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista? Semplice: che quel che si presenta come un fatto deve basarsi su fonti o elementi concordanti. Si tratta di un principio che il Consiglio svizzero della stampa ha dovuto richiamare rispondendo a un reclamo presentato dal quotidiano vodese «24 heures» contro il periodico «Edito». Oggetto del reclamo, un articolo sul «caso Broulis» pubblicato sul numero di giugno 2019 e sul sito in francese del periodico. In causa un consigliere di Stato vodese uso pagare le imposte nel suo comune di attinenza, Ste-Croix, pur abitando a Losanna. Del caso si era occupato il corrispondente del «Tages-Anzeiger» dal Canton Vaud. «24 heures» non se ne era occupato.
Il rimprovero di «Edito» a «24 heures» è di essere sempre così vicino al governo del Cantone da perdere ogni sensibilità critica («Il quotidiano si è trasformato praticamente in un organo del governo ... Che cosa importa al giornale? Che vengano soldi!»): ciò spiegherebbe come mai del «caso Broulis», a «24 heures», «nessuno decise di fare una ricerca». «Edito» insinua che l'ex direttore del quotidiano «non sempre difendeva la sua redazione contro centri d'interesse politici ed economici» e sostiene che il Dipartimento delle finanze del Cantone, diretto da Pascal Broulis, avrebbe «offerto» al giornale un inserto prima di una votazione (in effetti si trattava di un allegato a pagamento). Mancando ogni prova a sostegno delle affermazioni contenute nell'articolo, il Consiglio della stampa ne conclude che la cifra 1 della «Dichiarazione» è stata violata.
Nel servizio le fonti di «Edito» sono tutte anonime. Per quali buone ragioni, che potrebbero anche essere plausibili, non si dice. È mai possibile, ci si chiede, che in un caso così clamoroso non si sia potuto trovare una fonte esterna al giornale da esibire con nome e cognome, tale da rappresentare per il pubblico una garanzia? Anche l'art. 3 della «Dichiarazione» sul trattamento delle fonti risulta perciò violato.
Accusare di compiacenza il direttore di una pubblicazione equivale a mettere in dubbio la sua onestà professionale. Lo si doveva perciò interpellare prima della pubblicazione. Farlo solo dopo, come di fatto accaduto, offrendogli di esprimere il suo punto di vista per quanto spazio fosse necessario, è stata una buona decisione, ma la cifra 3 della «Dichiarazione» è chiara: chi è oggetto di gravi addebiti deve essere ascoltato prima della pubblicazione, ciò che nel caso specifico non è avvenuto.
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